La posizione del minore nel contesto del giudizio è stata da sempre oggetto di ampio dibattito, non solo in ambito giuridico, ma anche psicologico e sociologico, in quanto essa è caratterizzata da aspetti di innegabile peculiarità che la differenziano rispetto a quanto avviene per le comuni parti del processo.
Fino a qualche anno fa, il ruolo del bambino all’interno del processo appariva “compresso” ed in qualche modo sofferente di una connaturata posizione di debolezza, sotto differenti profili.
In primo luogo si evidenziava che il minore, per la sua età e per la sua incompleta formazione psicologica ed educativa, non poteva essere in grado di esprimere correttamente le proprie esigenze e i propri bisogni, inoltre egli appariva fortemente suggestionabile da parte degli adulti che vivono accanto a lui. E così, trovandosi in bilico tra mancanza di autonomia e bisogno di protezione, il minore tendeva a non essere considerato direttamente ed autonomamente portatore di propri diritti: non protagonista quindi, bensì oggetto delle istanze e delle decisioni che altri soggetti assumevano nell’ambito del giudizio.
Da ciò è derivata una scarsissima diffusione, fino ad oggi, della pratica dell’ascolto del minore, rispetto alla quale, da una parte, si temeva di provocare nel minore un turbamento emotivo, mentre dall’altra si riteneva che i giudici non fossero adeguatamente forniti delle competenze specifiche per effettuare un’audizione proficua e non dannosa.
Basti rilevare in proposito che l’art. 6 della legge sul divorzio, così come modificata dalla novella del 1987, prevede la possibilità che i figli minori siano ascoltati dal Giudice allo scopo di emettere i provvedimenti relativi all’affidamento e alla loro residenza solo “qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età”.
Tale orientamento è andato lentamente e progressivamente mutando a fronte di precise indicazioni da parte del mondo della psicologia e della scienza dell’educazione, che ha evidenziato che il bambino ha bisogno di essere ascoltato e dunque ha posto l’ascolto del minore fra i bisogni primari del minore anche per quanto riguarda le controversie giudiziali che si svolgano, ad esempio, fra i suoi genitori.
Queste indicazioni sono state condivise dal diritto internazionale e comunitario che ha richiesto, tramite la stesura di una serie di convenzioni, che nelle varie legislazioni la comunicazione e l’ascolto siano introdotti come diritti del bambino.
Si tratta in particolare:
1) delle Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile (c.d. Regole di Pechino), approvate a New York il 29 novembre 1995 che prevedono, fra l’altro, che la procedura giudiziaria penale a carico del minore deve permettere allo stesso di parteciparvi e di esprimersi liberamente (art. 14, co.2);
2) della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo siglata il 20 novembre 1989 (e resa esecutiva in Italia con la legge 176/1991) che all’art. 12 impegna gli Stati a garantire al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria e amministrativa che lo concerne sia direttamente sia tramite un rappresentante o un organo appropriato;
3) della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (ratificata in Italia con la legge 476/1998), che prevede che il minore per il quale si propone l’adozione sia stato assistito, in considerazione della sua età e maturità, mediante una consulenza e sia stato informato delle conseguenze dell’adozione e che le sue opinioni siano state prese in considerazione (art. 4 lett. d), ed ancora che egli, dopo il collocamento presso la nuova famiglia, sia consultato ove tale collocamento non corrisponda più al suo interesse;
4) della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, sottoscritta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (e ratificata in Italia con la legge 77/2003) in base alla quale al minore, nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, devono essere riconosciuti come diritti di cui egli stesso può chiedere di beneficiare, quelli di ricevere ogni informazione pertinente, di essere consultato e di esprimere la propria opinione, di essere informato delle conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione. Inoltre l’autorità giudiziaria, prima di giungere ad una decisione e quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente, deve nei casi che lo richiedono consultare il minore personalmente con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, permettere al minore di esprimere la sua opinione, tenere in debito conto l’opinione da lui espressa.
Pur a fronte di tali chiare e precise indicazioni che sono state tutte formalmente recepite dal legislatore italiano, occorre rilevare che la nostra disciplina civilistica interna stenta ancora oggi a considerare a tutti gli effetti il minore fra i protagonisti del processo, e non individua, ad esempio, con quali criteri si possa stabilire la sua capacità di discernimento che costituisce di fatto il presupposto indispensabile per consentirgli di partecipare e essere parte del giudizio.
Ed infatti, nessuna delle norme che esplicitamente prevedono la possibilità di ascoltare il minore (art. 145 c.c. in caso di disaccordo fra genitori sulle decisioni relative all’indirizzo della vita familiare, art. 250 c.c. sul riconoscimento dei figli naturali, art. 273 in materia di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale) fornisce elementi da cui dedurre la sua maturità e la sua capacità di discernimento, ad eccezione dell’età anagrafica (superiore o inferiore ai 12, ai 14 o ai 16 anni) che, come è evidente, rappresenta un requisito astratto che potrebbe facilmente essere smentito dalla reale situazione del minore.
Anche la recente legge sull’affidamento condiviso, entrata in vigore nel marzo 2006, prevede espressamente che il giudice disponga l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni 12 ed anche di età inferiore ove capace di discernimento, ma nella pratica l’ascolto del minore rimane un’ipotesi del tutto eccezionale relativa ai casi più complessi e caratterizzati da una forte conflittualità fra i genitori, il che vanifica obiettivamente l’intento della norma e il principio ad essa sotteso: e cioè che il bambino, per il solo fatto di essere coinvolto nel giudizio, deve essere informato ed ascoltato perchè la comprensione di ciò che accade e la possibilità di esprimere la propria opinione gli consentirà di affrontare più serenamente il cambiamento e quindi di vivere meglio.
A tale riguardo appare indispensabile rilevare, proprio ai fini della disamina del ruolo che il minore svolge all’interno del nostro processo, che da anni il Parlamento italiano ha approvato la legge 149/2001 contenente le modifiche alla disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, che prevede espressamente l’obbligatorietà della difesa tecnica (e cioè dell’assistenza di un difensore) anche del minore nei procedimenti per la dichiarazione di adottabilità o nei procedimenti sospensivi o ablativi delle responsabilità genitoriale (artt. 330, 333, 336 c.c.), ma purtroppo l’applicazione di tali disposizioni processuali è stata continuamente rinviata.
Solo dal 1° luglio 2007, dopo sei anni di rinvii, sono diventate applicabili le norme in materia di avvocato del minore e dunque d’ora in avanti sarà formalmente richiesta l’assistenza tecnica anche per i bambini coinvolti in questi giudizi che finalmente, almeno in questo ambito, assumono in piena autonomia rispetto agli altri soggetti coinvolti, la veste di parte processuale e si vedono garantita una difesa tecnica ad hoc che tuteli, nel rispetto del principio del contraddittorio sancito dall’art. 111 della nostra Costituzione, la loro posizione e i loro diritti.
Stante la delicatezza e la complessità delle procedure in cui sono coinvolti i minori, sarà indispensabile che l’avvocato che sarà chiamato d’ufficio ad assistere il minore, sia dotato di competenze e di esperienza specifica in questo ambito. Per questo motivo, il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano ha recentemente segnalato la necessità di ottenere da parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati un elenco di professionisti che abbiano competenza specifica nell’ambito del diritto di famiglia e minorile.
Tutto ciò premesso in merito al quadro legislativo che delinea il ruolo del bambino nel processo, mi pare opportuno segnalare alcuni casi a mio parere significativi rispetto a questo tema.
CASO 1
– La signora R, cittadina belga e il sig. C, cittadino italiano, hanno intrattenuto una relazione di fatto dal 1990 al 2005 dalla quale sono nati due figli .
– A seguito dell’interruzione della convivenza, le parti hanno raggiunto un accordo ratificato dal Tribunale per i Minorenni in base al quale i minori sono stati affidati congiuntamente ai genitori, sono state concordate le frequentazioni degli stessi con il padre e la loro residenza in Bruxelles presso la madre dove vivono a far tempo dall’agosto 2005.
– A fine giugno 2006, i minori sono venuti a trascorrere un fine settimana a Milano dal padre, ma, mentre la primogenita faceva regolarmente ritorno in Belgio dalla madre, il padre tratteneva illecitamente il figlio maschio in violazione del diritto di custodia attribuito alla madre in forza del decreto sopraindicato.
– Conseguentemente la madre stante la permanente volontà del padre di non riconsegnarle il figlio, si rivolgeva alla Autorità Centrale ai sensi della Convenzione dell’Aja 25 ottobre 1980 per ottenere l’immediato rimpatrio del minore e di ciò informava il Tribunale dei Minorenni depositando un ricorso ai sensi dell’art. 29 della Convenzione stessa depositato in data 24 luglio 2006.
– Il Tribunale fissava quindi l’udienza del 22 agosto 2006 disponendo la comparizione delle parti e in tale udienza veniva anche disposta successivamente l’audizione di entrambi i figli minori.
La primogenita dichiarava di essere regolarmente tornata a vivere in Belgio presso la madre, di essere molto stupita del fatto che il fratello fosse rimasto con il padre in Italia e di non aver mai riscontrato nel fratello quelle difficoltà che il padre riferiva fossero a fondamento della decisione del minore di voler rimanere in Italia (scarso ambientamento in Belgio, nostalgia dell’Italia, eccessiva severità della madre).
Il minore sentito insisteva nel richiedere di poter rimanere in Italia presso il padre che era in grado di accudirlo nonostante il lavoro e che si mostrava nei suoi confronti meno severo della madre.
Il Tribunale rilevava che dal racconto del bambino non era emerso alcun elemento idoneo a ritenere che la madre fosse assente o maltrattante, e che non vi era alcuna prova della possibilità di grave pregiudizio per il minore ove egli fosse stato ricondotto in Belgio, piuttosto “la richiesta del minore, reiterata e decisa, di restare in Italia, pare scaturire da una situazione emotiva i cui parametri sono alterati e parziali” e ne ordinava il rientro presso la madre.
In questo caso, dunque, l’audizione del minore ha fornito al Giudice elementi di valutazione essenziali ai fini delle decisione, che pure ha avuto un contenuto difforme rispetto a quanto richiesto dal minore stesso.


CASO 2
– La vicenda inizia nel novembre del 2002. La signora S., a far data dal 1995, ha avuto una relazione sentimentale con il signor G. ;
– da questa relazione è nata in Svizzera nel 2000 la piccola Y., che è stata riconosciuta successivamente dal padre e che, in conformità alla legge svizzera, ha assunto solo il cognome della madre, che, sempre in base alla legge svizzera, esercita in via esclusiva la potestà sulla minore;
– per 2 anni , la signora S. e il signor G. hanno convissuto insieme e poichè il compagno non poteva contare su redditi da lavoro stabili e sufficienti al mantenimento della famiglia, la signora S. ha dovuto reperire, subito dopo la fine del periodo dell’allattamento, un impiego come segretaria, affidando negli orari di lavoro la figlia alla famiglia del signor G. Frequenti sono stati anche i soggiorni della piccola Y. con i nonni materni in Svizzera e in Francia, dove questi ultimi hanno una casa di villeggiatura.
– a causa dei continui scontri ed incomprensioni, la convivenza tra la signora S. e il signor G. si è interrotta nel febbraio 2002, e il signor G. è tornato ad abitare presso i propri genitori;
– in seguito all’interruzione della convivenza, le frequentazioni tra padre e figlia sono state numerose e intense perchè la madre di Y. ha sempre collaborato in questo senso ed auspicato, nell’esclusivo interesse della minore, che il rapporto fra padre e figlia non si interrompesse;
– la signora S., tuttavia, afflitta da enormi difficoltà economiche e non potendo contare sull’aiuto del signor G., ha cercato in ogni modo di sensibilizzare il padre di Y. sulla necessità di fare ritorno in Svizzera presso i suoi genitori, con l’appoggio dei quali avrebbe potuto svolgere il suo lavoro ed accudire adeguatamente la bambina;
– il signor G. è apparso inizialmente non ostruzionistico rispetto al progetto della signora S.
– In prossimità del trasferimento in Svizzera, e proprio per dimostrare al signor G. la ferma volontà di non recidere in alcun modo il legame della bambina con il padre e la di lui famiglia, la signora S. ha acconsentito che i nonni paterni portassero con sè la bambina per due settimane in Corsica, mentre la mamma provvedeva al trasloco in Svizzera.
– Al termine della vacanza, quando la signora S. si accingeva a tornare in Italia per riprendere la bambina, il signor G. ha chiesto alla ricorrente di poter trascorrere ancora una settimana in compagnia della figlia, promettendo che il 19 ottobre avrebbe riaccompagnato la piccola Y. in Francia dove si trovavano in quel momento i genitori della signora S. La ricorrente, inizialmente esitante, ha poi acconsentito, pensando in questo modo di poter contribuire a rasserenare i rapporti.
– Purtroppo, però, è accaduto esattamente il contrario: il signor G, infatti, non ha più voluto restituire la bambina alla mamma, inizialmente opponendo scuse quali una malattia della piccola che la costringeva in casa e le impediva di raggiungere in Francia i nonni materni, in seguito dichiarando apertamente di non avere alcuna intenzione di permettere che la bambina vivesse con la madre in Svizzera e dando avvio ad una battaglia giudiziale che dura ancora oggi.
– Ed infatti il signor G. ha sottratto per un mese la bambina alla madre, ma ha anche condotto la figlia lontano dalla propria abitazione senza che la ricorrente ne fosse informata e soprattutto ha impedito per giorni qualunque contatto telefonico tra Y. e sua madre.
– Nemmeno l’intervento della forza pubblica, cui la signora S. si è rivolta in più occasioni, ha fatto desistere il signor G. dalla propria condotta
– Per settimane la signora S. non ha visto sua figlia, nè ha saputo dove la piccola si trovasse.
– A nulla sono valse le denunce presso la stazione dei Carabinieri.
– La madre della minore ha quindi depositato un ricorso presso il TM di Milano chiedendo in via d’urgenza l’affidamento della minore in suo favore e la regolamentazione delle frequentazioni con il padre alla luce della condotta gravemente pregiudizievole del sig. G.
Il TM, dopo circa 1 mese (in cui le frequentazioni tra madre e figlia sono state praticamente inesistenti a causa dell’ostinato rifiuto paterno), ha affidato provvisoriamente la minore al Comune, ha incaricato i Servizi Sociali di effettuare una relazione sulla situazione e riferire al TM entro 60 giorni e nel frattempo ha imposto un divieto di espatrio per la bambina.
I Servizi sociali hanno preso effettivamente in carico la situazione solo dopo molte settimane, e non hanno quindi rispettato il termine per il deposito della relazione al TM, il provvedimento provvisorio è rimasto in vigore per oltre 2 anni!
Nel frattempo le frequentazioni tra madre e figlia sono state più regolari, ma sempre in Italia e con la supervisione dei Servizi sociali, senza tuttavia che fosse mai stata dimostrata l’incapacità della madre di gestire le esigenze della figlia.
Gli operatori dei SS si sono continuamente succeduti, per cui non è stato mai possibile avere una relazione completa ed aggiornata sul caso. I rapporti fra i genitori erano estremamente conflittuali e dunque gli operatori ritenevano necessario proseguire nel loro incarico, mentre il TM non ha mai ritenuto di doversi pronunciare per evitare che la situazione di fatto in cui la bambina si trovava (collocata presso il padre, con limitate frequentazioni per la madre) fosse velocemente modificata.
Dunque la situazione di fatto che si era venuta a creare a causa di una condotta illegittima e prevaricatrice del padre è diventata la realtà in cui la bambina per più di due anni si è trovata a vivere, senza che il Tribunale o i Servizi si attivassero per garantire i diritti della madre.
Per tutto l’anno 2003 e 2004 la sig.ra S. che lavorava in Svizzera dove ha la sua casa e la sua famiglia, ha affittato una stanza in un residence per vedere la figlia, partecipare agli incontri con i SS e per stare vicino alla bambina, con uno sforzo anche economico notevole.
Con il passare del tempo, e appurando che la minore manifestava l’esigenza di stare più vicino alla madre, i SS hanno iniziato ad ampliare le frequentazioni tra madre e figlia e hanno acconsentito a che la minore trascorresse alcuni periodi in Svizzera presso la mamma. Il padre, temendo evidentemente di perdere il controllo sulla minore, ha depositato una relazione di una neuropsichiatra infantile nella quale veniva annotato un presunto grave disagio della bambina da ricondursi al rapporto con la madre.
Si sono dunque succeduti ulteriori approfondimenti, che hanno radicalmente smentito qualsivoglia responsabilità materna nel disagio che pure la bambina manifestava a causa della situazione e del pesante e lungo conflitto fra i genitori.
Sono state effettuate numerose udienze con le parti avanti al Giudice onorario che finalmente alla luce degli elementi del tutto rassicuranti emersi dalle relazioni dei SS, ha intrapreso una mediazione fra i genitori e ha proposto, dopo più di 2 anni, che la bambina, fermo restando l’affidamento al Comune, riprendesse un rapporto continuativo con la madre, che si trasferisse con lei in Svizzera e che fossero disciplinate in forma ampia le frequentazioni con il padre.
che è tuttora in vigore non essendo intervenuto alcun ulteriore provvedimento.
Recentemente la bambina è stata sentita dal G. onorario e proprio oggi saranno ascoltati anche i genitori, onde procedere all’emissione del provvedimento definitivo e alla chiusura del procedimento.
Dopo anni di causa e di aspri conflitti, mi pare significativo leggere le parole pronunciate qualche mese fa dalla bambina in occasione dell’audizione davanti al Giudice, che descrivono perfettamente lo stato d’animo della piccola e la sua capacità di mediare fra gli opposti desideri dei genitori e forse anche propri, e che dimostrano che nonostante tutto questi genitori sono riusciti a garantire alla figlia la serenità e la fiducia indispensabili per crescere correttamente: “Per me è difficile pensare ad un modo diverso di vivere: per adesso penso che non si può fare diversamente, se no sentirei la mancanza di papà o della mamma. Se dovessi venire un giorno in più poi mi mancherebbe ancora di più. Se dovessi trasferirmi qui dovrei ricominciare la scuola. E’ un po’ difficile immaginare di rimanere in Italia. E’ anche un po’ difficile pensare di rimanere in Svizzera. Il mio angelo custode è la mia mamma ma anche il mio papà. Alla domanda se si può pensare ad una soluzione diversa, per me bisogna andare avanti così, perchè se no mi mancherebbe o la mamma, o il papà, o i nonni”.
CASO 3
I signori B. e S. si separano quando il loro figlio ha circa 3 anni. Oggi ha 12 anni compiuti ed è tuttora in atto un aspro conflitto giudiziale che ha coinvolto anche il Tribunale per i Minorenni.
Il minore è stato affidato al Comune di Milano e dopo un iniziale collocamento presso la madre, è stato collocato prima presso i nonni paterni e successivamente presso il padre a fronte delle pesantissime accuse mosse alla madre in relazione all’incapacità di accudimento del figlio e al presunto grave pregiudizio dallo stesso subito.
Dopo anni di battaglie, di perizie e di interventi dei servizi sociali, lo scorso dicembre il bambino è stato sentito dal Giudice del divorzio e ha affermato con forza il desiderio di vivere con la madre di cui ha sentito enormemente la mancanza negli ultimi anni, anche a causa della condotta paterna che costantemente ribadiva al figlio che la madre era una pazza e lo avrebbe danneggiato.
Ed infatti, nel frattempo il bambino era scappato da casa del padre e si era rifugiato dalla madre, mentre il padre tentava in ogni modo di azionare, anche con la forza pubblica, il suo diritto ad avere il figlio collocato presso di sè.
E’ stata quindi disposta l’audizione del minore che davanti al Giudice del divorzio ha affermato di non voler riprendere il rapporto con il padre e ha testualmente dichiarato: “Mio padre mi ha strappato dalla mia vita e dalla mia mamma per tre anni, tutti dicono che queste cose me le fa dire la mamma, ma non è vero, perchè nessuno capisce?”
Il Giudice a fronte delle dichiarazioni del minore ha ritenuto necessario, anche per evitare l’inasprirsi del conflitto con il padre e il convincimento nel minore di non essere ascoltato, modificare i provvedimenti presidenziali e ha disposto che lo stesso fosse collocato presso la madre.


Conclusioni
Le indicazioni che precedono, i casi riportati e, mi sia consentito, l’ esperienza di tanti anni, mi convincono sempre più della necessità di uno spazio di ascolto al minore nel giudizio.
Questo spazio però dovrà essere completamente adeguato al soggetto che ne necessita.
Da quì la necessità ancora una volta di affinare la professionalità, la competenza e l’umanità di coloro che procederanno all’ascolto stesso. Questa è la sfida da raccogliere se si vuole realmente tutelare l’interesse del minore.


avv.Anna Galizia Danovi, Presidente del Centro per la Riforma del Diritto di Famiglia


Fonte: Il Danaro

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