La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20204/2007, affronta nuovamente la questione della rilevanza, ai fini della determinazione dell’assegno divorziale, dei maggiori redditi guadagnati dal coniuge obbligato, al momento della pronuncia del divorzio, rispetto a quelli guadagnati nel periodo della convivenza matrimoniale.
Nel caso de quo, il coniuge, durante la convivenza matrimoniale, era comandante dei vigile del fuoco, mentre la moglie era docente di un istituto superiore. Nel 1994 il marito, chiedendo un pensionamento anticipato, lasciò il lavoro svolto in precedenza e si dedicò completamente all’esercizio di una libera professione già svolta in concomitanza con il suo lavoro. Ciò accadeva dopo la separazione dei coniugi. Al momento della pronuncia di divorzio, avvenuta nel 2003, a seguito dell’incremento dell’attività professionale del marito, il tribunale stabiliva a carico di quest’ultimo, un assegno per il mantenimento della ex moglie e un assegno per il mantenimento della figlia, entrambi di mille euro.
La sentenza veniva impugnata in appello dall’ex marito, sulla base di tre argomentazioni: la prima riguardante la totale equivalenza, all’epoca della separazione, della condizione economica della moglie, insegnante, alla propria; la seconda concernente la modestia del tenore di vita condotto dalla famiglia alla stessa epoca; l’ultima relativa alla circostanza che i propri miglioramenti reddituali, intervenuti successivamente alla separazione, non erano in alcun modo riconducibili alla esperienza lavorativa precedentemente svolta.
La Corte d’Appello, con sentenza depositata nel marzo 2004, confermava la sentenza di primo grado sostenendo che ai fini della determinazione dell’assegno divorziale, occorre fare anche riferimento ai “miglioramenti reddituali dell’ex coniuge dovuti al prevedibile sviluppo di situazioni e aspettative già presenti durante la convivenza matrimoniale, in quanto collegati alla sua attività e non aventi carattere di eccezionalità, come nella specie”. Certamente la Corte d’appello ha considerato che l’attività libera professionale, svolta sia pure marginalmente, dell’ex marito rispetto a quella principale di comandante durante la convivenza matrimoniale, potesse comunque considerarsi una prevedibile evoluzione della precedente attività e non un fatto eccezionale.
Avverso tale decisione l’ex marito faceva ricorso in Cassazione evidenziando che gli incrementi intervenuti per l’attività di libero professionista ben dieci anni dopo la separazione, a seguito del collocamento a riposo anticipato, non poteva affatto essere considerata quale sviluppo naturale e prevedibile dell’attività lavorativa svolta durante la convivenza matrimoniale.
La Cassazione con la sentenza in esame, depositata nel settembre 2007, ha dato ragione all’ex marito, rilevando che l’attività libero professionale da lui esercitata al momento del divorzio costituiva “non già il prevedibile sviluppo della carriera ” da lui svolta nella pubblica amministrazione durante la convivenza matrimoniale, bensì “un evento successivo del tutto eccezionale determinato dalla scelta del pensionamento anticipato e di dedicarsi alla professione libera, scelta all’evidenza non prevedibile sulla base di circostanze preesistenti e comportante assunzione di rischi”.
Siffatta decisione della Suprema Corte esprime due principi di cui uno di carattere generale, che si riferisce al valore dei miglioramenti reddituali del coniuge obbligato ai fini della determinazione dell’assegno divorziale, mentre l’altro di carattere particolare, riferito alla fattispecie concreta espressa dal caso esaminato
Il primo principio di carattere generale afferma che “nella determinazione dell’assegno divorziale occorre tener conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’assegno, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutati i miglioramenti che scaturiscono da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del matrimonio e aventi carattere eccezionale, in quanto connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali o imprevedibili”:
Trattasi di un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, la cui ragione si fonda sulla solidarietà matrimoniale, che non viene meno con la separazione e nemmeno con il divorzio. Già l’ordinamento prevede che l’ex coniuge economicamente più debole possa fare affidamento sull’altro per il proprio mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri e non sia in grado di procurarseli per ragioni obbiettive. Con tale principio ora quest’affidamento riguarda non solo la capacità economica e reddituale dell’ex coniuge obbligato con riferimento al periodo della convivenza matrimoniale, ma si allarga anche a quegli incrementi successivi che costituiscano “sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio”, avendo come unico limite tutti quegli incrementi che dipendano da eventi eccezionali e non prevedibili.
Il principio particolare circoscrive al caso concreto esaminato il principio generale secondo cui non possono essere considerati gli incrementi che dipendano da eventi eccezionali e non prevedibili durante la convivenza.
Nel caso in oggetto la maggiore capacità reddituale dell’ex marito al momento della pronuncia del divorzio è stata determinata dalla scelta di ricorrere al pensionamento anticipato per dedicarsi ad un’attività già esistente al momento della convivenza matrimoniale. Secondo i giudici di primo e secondo grado tale sviluppo successivo di un’attività preesistente doveva considerarsi un evento legittimo su cui la moglie poteva essersi formata un legittimo affidamento.
La Corte di Cassazione invece ha ritenuto che ciò che conta non è tanto l’incremento di un’attività preesistente, bensì la scelta di accedere al pensionamento anticipato e di dedicarsi ad una professione autonoma, scelta all’evidenza non prevedibile sulla base di circostanze preesistenti e comportante assunzione di rischi”.
Sarà ora compito della Corte d’Appello, a cui è stata rinviata la decisione nel merito, accertare nel caso concreto, alla luce dei principi richiamati, la prevedibilità degli eventi verificatisi concretamente.


Fonte: Il Danaro

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