Le modifiche apportate dalla legge 54/2006 all’art. 155 c.c. hanno sollevato una delicata questione sulla disciplina giuridica dell’accesso del cosiddetto “esperto mediatore” nel procedimento di separazione e divorzio. L’art. 155 sexies dispone infatti che “qualora se ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”. Nulla viene statuito in merito a quali professionisti si riferisca l’articolo e con quali modalità di intervento possano partecipare nel giudizio. In particolare, il legislatore ha dedicato minima attenzione alla figura professionale del “mediatore familiare”, che è un soggetto neutrale dotato di una specifica e qualificata preparazione, a cui le parti in conflitto possono rivolgersi per affidare la risoluzione dei loro problemi, da quelli inerenti alle questioni patrimoniali, a quelli sull’affidamento dei figli o sulla divisione dei compiti genitoriali. La funzione del professionista, in sostanza, è quella di indurre la coppia a trovare nuovi canali di comunicazione e di dialogo per poter giungere ad un accordo che le parti, e certamente non il mediatore, possono decidere di usare in sede di separazione consensuale o come guida per la loro riconciliazione.
La mediazione familiare è un utile strumento per la soluzione in via non contenziosa di controversie che possono sorgere all’interno di una famiglia, attraverso l’intervento di un terzo imparziale, il mediatore, figura professionale dotata di una specifica competenza.
Un mediatore familiare incontra i coniugi che hanno già deciso di separarsi o di divorziare e li aiuta a:
– chiarire quali sono le questioni sulle quali bisogna trovare un accordo;
– raccogliere tutte le informazioni, specialmente di tipo legale, necessarie;
– ponderare tutte le possibilità di scelta esistenti;
– trovare il modo meno traumatico di consultare i figli, per tenere presenti le loro esigenze;
– chiarire le reciproche richieste per giungere ad un accordo giusto e duraturo, soddisfacente per entrambe le parti.
Il percorso di mediazione si attua attraverso una serie di incontri (generalmente da quattro a sei sedute). Lo scopo ultimo della mediazione è di portare i coniugi ad una separazione consensuale o ad un divorzio congiunto, evitando così la separazione ed il divorzio giudiziali, procedimenti giudiziari lunghi e costosi. Il mediatore opera come un terzo imparziale e gestisce il processo di mediazione aiutando la coppia, nella quale spesso la comunicazione è interrotta a causa di incomprensioni e tensioni, a comunicare in maniera costruttiva e ad assumere decisioni responsabili ed informate. Il mediatore non può fornire pareri sulle decisioni da adottare, ma può solo aiutare i coniugi a parlare fra loro per trovare insieme delle soluzioni.
Alla fine del processo di mediazione viene redatto un documento scritto che riassume tutti i punti sui quali si è raggiunto un accordo. Le questioni oggetto dell’accordo possono essere tanto quelle riguardanti l’affidamento dei figli, quanto quelle patrimoniali riguardanti gli assegni di mantenimento e la divisione dei beni. Questo documento non è legalmente impegnativo, ma l’accordo in esso contenuto verrà riportato negli atti redatti dagli avvocati che rappresenteranno le parti nel procedimento di separazione consensuale o di divorzio congiunto.
La coppia ha una alternativa:
1. ricorrere alla “mediazione parziale”: si raggiunge un accordo scritto che gli avvocati di ciascuna delle parti potranno far valere nei procedimenti di separazione o divorzio;
2. scegliere la “mediazione globale”: al termine del processo di mediazione un avvocato, in rappresentanza di entrambi i coniugi, redigerà gli atti da far valere in giudizio sulla base dell’accordo raggiunto davanti al mediatore.
Quando i coniugi decidono di avvalersi della mediazione parziale ciascuno di essi può consultare il proprio avvocato.
Il mediatore incoraggia entrambi i genitori a parlare con i figli, per capire quali sono i loro bisogni e desideri. Può talvolta accadere che il mediatore, d’accordo con i genitori, ritenga utile parlare direttamente ai figli, in particolare quando questi ultimi hanno punti di vista completamente diversi da quelli dei genitori. Gli incontri con i figli, specialmente se minori, vanno programmati con cura e sono confidenziali: il mediatore ed i ragazzi concorderanno cosa il mediatore potrà riferire ai genitori.
Qualunque sia l’esito della mediazione svolta, il mediatore non può in alcun modo intervenire nel successivo procedimento di separazione o divorzio: se avvocato non potrà rappresentare una sola delle parti, se psicoterapeuta o assistente sociale non potrà fornire consulenze di parte o d’ufficio. Tutte le informazioni apprese dal mediatore durante le conversazioni con i coniugi o i figli sono riservate, non possono essere riferite a terzi e sono soggette al segreto professionale.
Esistono casi, peraltro piuttosto infrequenti, in cui è impossibile intervenire attraverso la mediazione familiare: quando uno dei coniugi o i figli sono stati vittime di abusi ad opera dell’altro coniuge, quando la personalità di uno dei partner, particolarmente violenta, aggressiva o manipolativa, non consente di instaurare una comunicazione costruttiva.
I benefici della mediazione, identificati da importanti studi sociologici condotti nei paesi (Gran Bretagna e Stati Uniti) in cui quest’ultima è molto più diffusa che in Italia, sono molteplici:
– notevole riduzione dei costi per spese legali;
– minore durata dei procedimenti di separazione e divorzio;
– raffreddamento della conflittualità fra i coniugi;
– relazioni civili, o perfino amichevoli, dopo la separazione e il divorzio;
– maggiore facilità di raggiungere accordi, specialmente se riguardanti la vita dei figli, dopo la separazione ed il divorzio;
– minore impatto traumatico della separazione e del divorzio sui figli;
– migliore riorganizzazione della propria vita sociale ed affettiva dopo la separazione ed il divorzio, determinata dal venir meno di sentimenti di rancore, ostilità e fallimento.
La mediazione familiare non è utile solo alla coppia in procinto di separarsi o di divorziare, ma è un efficace sistema per comporre controversie e disaccordi nati all’interno della famiglia.
Innanzitutto, tra i doveri dei professionisti vi è quello di informare le parti sulle modalità degli incontri sia oralmente nel primo colloquio sia in forma scritta nel cosiddetto “accordo di partecipazione”, in cui viene raccolto il consenso della coppia ad iniziare la mediazione con l’apposizione della firma di entrambi i partecipanti; altri compiti attribuiti agli esperti consistono nel valutare l’idoneità della coppia ad essere “mediata”, nel raccogliere la versione dei fatti di entrambe le parti per poi proporre delle soluzioni adatte al caso di specie e, infine, nel lasciare a queste ultime la scelta del rimedio più opportuno. Tuttavia, nonostante le varie associazioni di mediazione sorte in ambito nazionale abbiano cercato di stabilire delle regole per operare in maniera trasparente ed efficace nei confronti della società, la legge n°54/2006, finora, non ha indicato le modalità di nomina del cosiddetto “esperto mediatore” ed in quale veste debba partecipare nel procedimento civile, cioè se in qualità di c.t.u. ex art. 61 c.p.c. o come ausiliario ex art. 68 c.p.c. E’ importante precisare tale aspetto in quanto la figura professionale del mediatore familiare risulta incompatibile con quella di “assistente tecnico” del giudice. Il procedimento di mediazione, infatti, presenta delle caratteristiche antitetiche rispetto al processo civile: innanzitutto occorre evidenziare che la mediazione può inserirsi nel contesto giudiziario ma solo come procedimento complementare alla vertenza civile non certo come dipendente e la condizione sine qua non per accedervi è la decisione volontaria e consensuale di entrambe le parti di intraprendere il percorso, decisione che non sarebbe più spontanea se fosse il giudice a costringere la coppia ad entrare in mediazione. La garanzia della riservatezza e del segreto sulle informazioni raccolte dagli esperti, inoltre, pone l’ulteriore problema del come essi devono operare per mantenere la privacy delle parti e non violare il proprio segreto professionale qualora il giudice richieda l’assunzione di tali informazioni ai fini della decisione della causa. Infine, il mediatore non percepisce il compenso dalle istituzioni pubbliche, ma dalle parti, sulla base delle tariffe indicate nello statuto dell’associazione a cui appartiene. In definitiva, alla luce di quanto esposto si auspica un intervento immediato del legislatore al fine di riempire la lacuna della legge 54/2006 che, invece di offrire dei chiarimenti sull’accesso dell'”esperto mediatore”, attualmente appare come un contenitore “vuoto” tale da generare soltanto confusione. L’intervento legislativo è tanto più impellente se si pensa che nei giudizi di separazione e divorzio in presenza di minori ciò che rileva in primis è proprio la tutela degli interessi morali e materiali di questi ultimi, ovviamente più deboli e spesso vittime del sistema processuale. Non va trascurato, infine, il fatto che la mediazione è un servizio garantito ormai in molti stati europei quali Francia, Belgio, Germania, Spagna, Gran Bretagna e soprattutto negli Stati Uniti dove ha avuto origine, sia per mezzo delle istituzioni pubbliche sia attraverso le associazioni private. Tale aspetto, quindi, ci dà purtroppo la riprova del fatto che lo stato italiano risponda spesso tardi ai bisogni della società, ancor più se si pensa che già 10 anni fa la legge n°285 prevedeva l’istituzione di “servizi di sostegno alla relazione genitori-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonchè misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali”, ma, a tutt’oggi, non esistono mezzi adeguati per lo sviluppo di strutture di sostegno capaci di offrire una risposta concreta ai bisogni sociali.
Fonte: il Danaro
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