Innovativo riconoscere in Italia il valore di un Pacs stipulato in Francia da due cittadini francesi? Sicuramente; ma ancor più innovativo ciò che è avvenuto, con discrezione, in uno studio legale di Milano. Che ha ottenuto per una donna, italiana, il risarcimento dei danni «affettivi e morali» causati dalla morte della sua compagna, italiana pure lei.
Un risarcimento «congruo» tal quale sarebbe stato se a morire fosse stato un compagno: la società di assicurazione dell’ospedale ha considerato il rapporto omosessuale al pari del tradizionale «more uxorio». E non lo ha fatto ieri – magari spinta dalla notizia di quanto le Generali avevano deciso per la coppia gay francese di Venezia – lo ha fatto intorno a Pasqua. 
«Ed è una novità assoluta – dice Aurelio Mancuso, presidente dell’associazione Arcigay – perchè qui, lo sappiamo, non c’è nessun pacs, nessuna legge. La società si mostra molto più avanti della politica e si adegua alla realtà». La realtà è quella di due signore che stanno assieme per quasi vent’anni, condividendo casa e vita affettiva. Non sono più giovani: la più anziana ha quasi settant’anni quando viene ricoverata in uno dei «più importanti e noti ospedali di Milano». Non ci sono nomi in questa vicenda perché si è trattato di un accordo extragiudiziale; non c’è una sentenza e tutto quindi deve restare coperto dalla privacy.
Ma la storia c’è tutta, ed è quella di «un errore medico che, dopo un’operazione, provoca complicazioni che portano alla morte della paziente». I familiari della donna si rivolgono allo studio legale; comincia una trattativa e, per evitare una causa, l’ospedale riconosce l’errore; l’assicurazione, «una primaria compagnia nazionale», paga il risarcimento. A tutti: ai parenti «di sangue» (una sorella, nipoti) e anche alla sua compagna. Rimasta sola a 55 anni, privata della persona con cui aveva passato buona parte della sua vita. E non c’entra se ci fosse o meno un lascito della morta a suo favore: «L’assicurazione  ha riconosciuto il danno affettivo e morale patito, dando valore alla convivenza ventennale tra le due donne, che abbiamo dimostrato attraverso le testimonianze».
Non c’era, non poteva esserci un foglio di carta a certificare quella che è stata comunque riconosciuta come una «comunione patrimoniale e morale» tra due persone. Il risarcimento è venuto di conseguenza: «Ed è stato congruo; cioè  non è stato per nulla pregiudicato dal fatto che si trattasse di una coppia omosessuale». La donna rimasta sola ha ottenuto così il riconoscimento – sebbene postumo – di una lunga convivenza affettiva: «prossima congiunta» per la compagnia di assicurazione; «vedova» della sua compagna per amici e parenti; ma ancora niente per lo stato civile.


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