Rischia una condanna chi chiede denaro per sé con la scusa di spese della futura casa comune (Cassazione 23857/2009)


Commette il reato di truffa chi inizia una relazione sentimentale con una donna promettendo di sposarla per ottenere somme di denaro necessarie per la futura casa coniugale e destinandole invece a necessità personali. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando una condanna per il reato di truffa aggravata emessa dalla Corte di Appello di Messina.
Un signore siciliano, a seguito della presentazione di una denuncia-querela, era stato accusato e rinviato a giudizio per il reato di truffa aggravata perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e con artifici e raggiri consistiti nella falsa intenzione di iniziare una relazione sentimentale con una signora a scopo di matrimonio e di avere necessità di denaro per preparare la futura casa coniugale e per sostenere le sue spese personali, procurava a sé un ingiusto profitto con pari danno per la parte offesa che gli consegnava la somma di cento milioni in assegni e contanti.
Condannato in primo grado dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, l’imputato ricorreva in appello sostenendo che il giudice di primo grado avrebbe dovuto assolverlo in quanto aveva dubitato della credibilità oggettiva della parte offesa. La Corte di Appello di Messina, esaminati gli atti, aveva ritenuto che la ricostruzione dei fatti fornita dalla parte offesa in ordine all’abile raggiro operato dall’imputato ai suoi danni trovasse una serie di riscontri tali da apparire verosimile e dotata di intrinseca logicità, rilavando che non fosse emersa alcuna ragione di astio né alcuna altra ragione per la quale la querelante avrebbe dovuto accusare ingiustamente l’imputato, così come confermato nelle dichiarazioni delle parti e dei testimoni. Dall’analisi del materiale probatorio acquisito, la Corte di Appello aveva sostanzialmente confermato la decisione con la quale il Tribunale aveva assolto l’imputato dal più grave reato di estorsione lasciando invariata la condanna per truffa in quanto l’imputato aveva costruito il rapporto con la vittima intorno ad un progetto comune appropriandosi dei risparmi della donna e facendosi addirittura consegnare denaro dalla madre di lei, senza dare corso alla realizzazione del progetto stesso.
Contro la sentenza di appello l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione sostenendo che la sentenza di condanna dovesse essere censurata perché si fonderebbe su una prova assolutamente indiziaria, mancando elementi di certezza in ordine alla prova del fatto. La Suprema Corte, respingendo il ricorso, ha affermato che “il giudizio di penale responsabilità dell’imputato si fonda su una prova che è costituita dalla deposizione della parte offesa come nella dichiarazione testimoniale della parte offesa deve essere considerata, per il suo contenuto, una prova storico – rappresentativa dei fatti oggetto del giudizio e non può essere degradata, per il suo contenuto, in mero indizio”, tanto più che “tale dichiarazione testimoniale è stata sottoposta al vaglio di credibilità e, superandolo, può essere considerata pienamente utilizzabile nei suoi risultati”. In buona sostanza, le dichiarazioni della donna raggirata e dei testimoni sono sufficienti a smascherare le reali intenzioni dell’imputato, che con la scusa dell’amore coniugale perseguiva la ben diversa finalità di procurarsi denaro.


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