La Corte di Cassazione, con la sentenza 30071/09 alza il livello di prevenzione della violenza domestica, accordando una tutela penale rafforzata alle donne oggetto di aggressioni verbali, da parte dell’ex sposo, finalizzate al “ricongiungimento” della coppia.
Espressioni del tipo: «se entro tre giorni non torni con me io ti ammazzo, incendierò i camion di tuo padre, se vengo sopra ti spacco la porta e faccio un macello», come quella contenuta nel procedimento esaminato dai giudici di piazza Cavour non integrano il reato della semplice minaccia ma quello di violenza privata, anche se solo tentata.
La vicenda su cui si è espressa la Cassazione riguardava la decisione di un giudice di pace che aveva dichiarato il non luogo a procedere – per la mancata comparizione in udienza della vittima – nei confronti di un ex marito che cercava di far cambiare idea alla moglie sulla fine del matrimonio con mezzi non proprio legittimi.
La Corte d’Appello ha ribaltato la decisione del Giudice di pace per errata applicazione della legge penale. La Corte di secondo grado – con una lettura in linea con la Cassazione – aveva, infatti, sostenuto che le espressioni dell’uomo non dovevano essere considerate una minaccia ma una violenza privata, reato ben più grave e perseguibile d’ufficio. Considerazione che automaticamente sposta la competenza del processo dal giudice di pace al tribunale ordinario.
La Cassazione non manca di spiegare la differenza tra le due fattispecie criminose. Mentre nella minaccia il pericolo è generico, nella violenza privata l’intimidazione è precisa e finalizzata a costringere qualcuno a fare o a non fare un determinato atto «con evento non di pericolo ma di danno, rappresentato dal comportamento coartato del soggetto passivo dipendente dall’atto di intimidazione (o di violenza) subito».
Il giro di vite della Corte di Cassazione può risultare un utile strumento in un’azione di contrasto del fenomeno delle violenza domestica che riguarda in Italia circa tre milioni di donne.
IL SOLE 24ORE
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