Da bambino frequentavo la scuola elementare G. Vicinanza di Salerno.
Tutto avrei immaginato tranne che vi sarei ritornato, dopo tanti anni, come avvocato.
Già perché la nostra giustizia civile, e dunque il diritto di famiglia, ha come sede questa mitica scuola.
Nell’aula dove ero scolaro del mitico maestro Edmondo Scotti (padre del giornalista Edoardo) si tengono le udienze più importanti, almeno per me.
Fin qui tutto normale o quasi.
L’emergenza atavica della nostra Giustizia, la cronica provvisorietà di questo settore che fa acqua da tutte le parti, “giustifica” in pieno tale collocazione logistica.
Noi avvocati, del resto, siamo sempre in attesa della “Cittadella Giudiziaria” (chissà quando ce la consegneranno).
La tragedia, perché di tragedia si tratta, non è data dal fatto di essere “tornati a scuola”, quanto quella di constatare che tale struttura è quanto di più incompatibile con un Tribunale ed in particolar modo con la specificità e drammaticità delle procedure familiari e delle persone (separazioni, divorzi, interdizioni, etc) che sono il mio pane quotidiano.
La separazione è ancora vista e vissuta come un dramma, anche quando è consensuale.
Un dramma che vede un progetto di vita in frantumi, un “investimento” fallimentare, una situazione di forte disagio umano e sociale. A ciò si aggiungano i drammi dimenticati dei “figli delle separazioni”.
La maggior parte dei separandi(ma anche dei divorziandi) ha il cuore in frantumi ed il morale sotto i tacchi.
Ma ciò che amplifica tale normalissimo stato d’animo è il luogo giudiziario dove si consuma, almeno formalmente, questo dramma. Il nostro Tribunale civile è quanto di più incivile e disumano possa esistere per tali vicende familiari.
I coniugi sono costretti a restare per ore in piedi in attesa del loro incerto turno.Per loro non c’è alcun conforto. Le attese sono snervanti in un contesto dove anche il più elementare principio di riservatezza è vergognosamente calpestato.
Ogni tanto esce dalla stanza del giudice il cancelliere che strilla a più non posso i nomi di marito e moglie, facendo intendere che è arrivato il loro momento, ossia la consacrazione e la ratifica del loro fallimento familiare.
Vedi questi persone, a capo chino, chiusi spesso in una sorta di “vergogna” e di inevitabile imbarazzo. C’è tanta gente intorno a loro, c’è curiosità, a volte un sentimento di “compassione”.
La tragedia di questo marito e di questa moglie, di questo padre e di madre, dei loro figli e dei loro sogni, viene sistematicamente profanata dall’infinito squallore del luogo in cui li aspetta un giudice, sepolto da una miriade di fascicoli di speculari vicende familiari.
Tante ore di attesa per procedure(mi riferisco alla prima udienza in cui vengono emessi i provvedimenti “provvisori” e urgenti) che durano pochi minuti.
Spesso questi coniugi si aspettano un’udienza in cui fosse possibile parlare di sé per il tempo necessario, spiegare perché e per “colpa” di chi si è arrivati fino a quel punto. Quell’udienza è un altro dramma che si aggiunge al dramma. Tutto in pochi minuti, dopo ore di angosciante attesa.
Per non parlare di quando i figli di questi due sventurati debbono essere sentiti dal giudice. Roba da “Striscia la notizia”.
Sembra proprio che questi due debbano espiare il loro “peccato” della separazione mediante una sorta di gogna. Insomma per questi due poverini questo giorno fatidico della loro separazione sarà ricordato per sempre come “un giorno di ordinaria follia”.
Io non credo che si tratti soltanto di una questione di carenze di strutture. Ritengo che si tratti di una cronica mancanza di civiltà giudiziaria in cui siamo tutti colpevoli, in particolare i magistrati e noi avvocati.
I primi lo sono perché anche il loro lavoro è mortificato dal contesto, i secondi perché non hanno mai inteso dire “basta” ed adottare almeno uno sciopero bianco. Qualche giorno fa il vulcanico Presidente del Consiglio Forense ha rotto gli indugi, denunciando un disservizio, esponendosi con autorevolezza in prima persona, esercitando il suo dovere –potere conferitogli dalla sua prestigiosa carica. Tutti gliene sono grati. Ma tale iniziativa deve rappresentare solo l’inizio di una serie di serene ma decise prese di posizione dell’Avvocatura Salernitana. Occorre rivendicare il nostro ruolo che non è marginale o eventuale.
La soluzione per combattere questa feroce inciviltà sarebbe, a mio sommesso parere, quella di individuare un giorno a settimana(anche con udienze pomeridiane) in cui trattare solo ed esclusivamente queste procedure( senza mescolarle a centinaia di sfratti, sinistri stradali e procedure varie).
E’ doveroso garantire ai coniugi di vivere con dignità e con discrezione la loro scelta di vita che deve essere rispettata e consumata nel modo meno doloroso. Ci vuole poco per migliorare la situazione. Ma a volte anche per ottenere la normalità occorre strillare.
Ma non è soltanto questo il dramma. Ci sarebbe da aprire un capitolo a parte sulla qualità di qualche provvedimento giurisdizionale (per fortuna esiste la Corte di Appello) e soprattutto sui tempi irresponsabilmente lunghi che un cittadino (non per colpa del difensore, sia chiaro!!) deve attendere per presentarsi davanti al Giudice dopo aver presentato il ricorso.
A Salerno le udienze presidenziali sono fissate dopo un anno circa dal deposito dell’istanza di separazione o divorzio.
A nulla servono le istanze di anticipazione di tali udienze che sono rigettate in automatico mediante un impietoso timbricino che recita “si rigetta l’istanza visto il notevole carico di lavoro”….
Io penso che siamo in una situazione davvero insopportabile e che ogni forma di diplomazia, peraltro inutile, si stia trasformando in una sorta di resa e di complice inciviltà.
Queste cose devono essere denunciate. Dobbiamo pur dare un senso al nostro ruolo di giuristi e di cittadini.
Altrimenti dovremo ammettere che i veri falliti siamo noi giuristi.
Il vero rispetto, quello che conta, lo dobbiamo portare verso i cittadini.
Tutto il resto viene dopo, semmai.
Avv. Gian Ettore Gassani