IL TEMA DELLA SETTIMANA
E’ trascorso un anno, era il 1° marzo del 2006, quando la legge sull’affido condiviso faceva il suo ingresso nella “Gazzetta Ufficiale”. L’assenza di puntuali norme procedurali e il contenuto fortemente innovativo per il costume del Paese sono i fattori che hanno più inciso nel primo anno di applicazione. Per un primo “bilancio” sul nunzionamento della normativa ospitiamo l’intervento del professor Marino Maglietta. Un monitoraggio di Crescere Insieme, avviato subito dopo l’entrata in vigore della legge 54/2006, ha permesso di rilevare un marcato disorientamento degli addetti ai lavori che si traduce in provvedimenti assai disomogenei. E’ opportuno precisare subito che non si tratta di “interpretazioni” diverse di passi ambigui, o di quella fisiologica variabilità che si colloca all’interno dei giusti poteri discrezionali del magistrato, ma di un vero e proprio mancato rispetto della norma là dove si presenta non equivoca. Ad esempio, esiste ancora, indubbiamente, la possibilità di stabilire un affidamento esclusivo, ma questo non è rimesso alla libera valutazione del giudice, bensì disciplinato dall’articolo 155 bis. E il 155 bis al comma uno non dice che il giudice può, nell’interesse del minore, valutare a suo insindacabile giudizio quale regime è più adatto a fare l’interesse del figlio; non dice che si stabilisce l’affidamento esclusivo ove l’affidamento condiviso sia ritenuto contrario all’interesse del minore. Stabilisce, invece, che si può escludere un genitore dall’affidamento ove quel genitore presenti carenze o motivi di inadeguatezza tali da poter portare pregiudizio al figlio, come del resto conferma il successivo comma che invoca la necessità del sussistere di oggettive circostanze di fatto a carico di un genitore e sanziona le false accuse. Se l’affidamento esclusivo potesse basarsi su una preferenza, su una opinione, la sanzione sarebbe impensabile. A dispetto di questa limpida enunciazione è stato sviluppato in alcuni tribunali una sorta di sillogismo, le cui perverse conseguenze si ritrovano in provvedimenti sparsi un po’ ovunque per l’Italia. Il ragionamento (v. ad esempio trib. Napoli, 28.06.2006)  si fonda su queste affermazioni:
a) l’affidamento condiviso e l’affidamento congiunto sono all’incirca la stessa cosa;
b) l’affidamento congiunto veniva concesso in casi estremamente limitati, e solo ove fossero rispettati determinati prerequisiti, come la bassa conflittualità, un’elevata età dei figli e una ridotta distanza tra le abitazioni; c) dunque l’affidamento condiviso per essere concesso deve soddisfare le medesime condizioni, e tutta la giurisprudenza accumulata negli anni per l’affidamento congiunto (ovviamente si parla di quella ostile ad esso) è trasferibile all’affidamento condiviso. Ma è facile vedere l’infondatezza dell’affermazione a). Al di là del fatto che per introdurre l’affidamento condiviso è stata utilizzata un’apposita legge, strutturata in numerosi articoli, che ne illustrano tutta una serie di aspetti sconosciuti al congiunto, introdotto senza alcuna definizione, anche limitandosi alla giurisprudenza maggioritaria relativa all’affidamento congiunto questo prevedeva la necessità di una permanente consultazione tra i genitori, tenuti a concordare ogni decisione anche di minimale importanza, mentre il condiviso ha introdotto l’esercizio separato della potestà limitatamente alla gestione del quotidiano, proprio per consentire al figlio un rapporto equilibrato con entrambi i genitori e di essere accudito da ciascuno di essi anche quando la conflittualità non consente collaborazione. Senza contare che anche l’affermazione al punto b) è falsa. Una corrente di pensiero sempre più largamente diffusa vedeva nell’elevata conflittualità un motivo per non concedere l’affidamento esclusivo – che sarebbe stato fonte di conflitti ancora maggiori, discriminando pesantemente i genitori – a favore dell’affidamento ad entrambi (affidamento congiunto “terapeutico”). Dunque il ragionamento del tribunale di Napoli è privo di fondamento in ogni suo aspetto e sono estranee alla legge tutte le sue consapevoli o inconsapevoli applicazioni: ad es., la sentenza del Tribunale di  Monza del 15.5.06  – analoga a innumerevoli altre – che nega l’affidamento condiviso per i “gravi e persistenti contrasti tra i genitori”, o il provvedimento del tribunale di Locri (n. 171 RGVG, 20.7.06) che al medesimo scopo utilizza la tenera età dei figli e, in altro provvedimento, la distanza fra le abitazioni (12 km). D’altra parte, per comprendere quanto al momento non sia osservata la 54 /2006 basta leggere i quesiti posti in una larga varietà di casi al consulente tecnico d’ufficio, formulati non come richiesta di verificare l’eventuale esistenza in qualcuno dei genitori di motivi di pregiudizio per il figlio e in assenza di questi individuare le migliori condizioni per realizzare l’affidamento condiviso; bensì come richiesta di valutare quale sia il tipo di affidamento da preferire nell’interesse del minore, se non addirittura il genitore “più idoneo” ad essere affidatario. 
Naturalmente questo non avviene ovunque. In varie altre situazioni il magistrato correttamente afferma che a dispetto della conflittualità si deve dare l’affidamento condiviso perché nessuno dei genitori appare inidoneo (v. ad es., Trib. Catania, 16.6.06). Il risultato di questa imprevedibile variabilità è che per il cittadino viene meno la certezza del diritto. La sorte di chi si presenta a Pisa è molto probabilmente diversa da quella di chi, in condizioni perfettamente analoghe, si presenta a Livorno, come in una sorta di mondo medioevale in cui ciascun feudatario si fa la propria legge.
Alla sostanziale inosservanza della norma sulla scelta del tipo di affidamento è da affiancare un’altra rilevante disapplicazione: il totale oblio della forma diretta del mantenimento fin qui riscontrato in quasi tutti i provvedimenti e  le sentenze passate in esame dall’associazione, a favore del sempiterno assegno.  Una scelta che penalizza fortemente il figlio, al quale toglie la gratificazione di ricevere attenzione ai suoi bisogni da parte di entrambi i genitori e di frequentarli entrambi nel quotidiano, così come di conseguenza, gli toglie il recupero dei fine-settimana per le proprie attività ricreative e la propria vita sociale, mantenendo di fatto l’aberrante prassi della “visita” domenicale. 
Questo comportamento di alcuni magistrati o addirittura di alcuni tribunali, non importa se dovuto a ostilità preconcetta o disattenzione, pone anche innegabilmente una rilevante questione istituzionale. La legislazione italiana prevede la separazione dei poteri legislativo ed esecutivo e giudiziario. Ma nel momento in cui si pronuncia una sentenza che esce dai margini di discrezionalità che la legge consente, per riformularla arbitrariamente, per “riscriverla”, il potere giudiziario va a invadere il campo del potere legislativo e si sostituisce ad esso.
Tutto questo mentre il maggior capo d’accusa mosso all’affidamento condiviso per bloccarne l’approvazione, cioè che avrebbe scatenato una imponente conflittualità, paralizzando addirittura i tribunali, si è rivelato privo di fondamento. Nessun tribunale ha dovuto chiudere i battenti e il rapporto tra separazioni consensuali e iscritte come contenziose non ha mostrato alcun crollo. Come si può vedere dai risultati dell’indagine campionaria svolta dalla nostra associazione, riportata a pag. 11, non esiste alcuna tendenza significativa all’incremento della litigiosità, come da molte parti previsto. Talune oscillazioni (come per Firenze) trovano spiegazione in disomogeneità di conteggio – come, ad esempio, il considerare oppure no le variazioni in corso d’opera – separazioni iniziate come giudiziali che diventano consensuali e viceversa.  La bigenitorialità è un diritto soggettivo, indisponibile,del minore. E’ vero, d’altra parte, che un po’ tutti gli interessati stanno mostrando un notevole grado di impreparazione. Se è vero che molti provvedimenti sono incoerenti con la norma è anche vero che i reclami sono scarsissimi. Se il mantenimento diretto non viene stabilito è anche vero che ben pochi insistono per averlo. Evidentemente non è stato compreso che il diritto dei figli a ricevere “cura” da entrambi i genitori – termine che al primo comma del 155 sostituisce “mantenimento” – trova proprio nella formulazione del comma 4 la sua possibilità di realizzazione. Certo, l’assegno per gli adulti è molto più comodo: per il giudice, che indica una cifra anziché sforzarsi di assegnare dei capitoli di spesa valutandone la consistenza; per il genitore che lo riceve, che può farne quello che vuole; e perfino per l’obbligato, che se la cava dando una tantum una disposizione alla banca. Continua, cioè, a dominare una visione adultocentrica. Si rifletta bene, si faccia caso. Le giustificazioni sono tutte “nell’interesse dei figli”, ma la sostanza qual’è ? Diritti, opportunità, negati ai figli, vantaggi per gli adulti. Sull’ascolto quasi sempre si sorvola: parlano solo gli adulti. L’assegno al figlio maggiorenne è negato: ed è versato al genitore convivente. Gli accordi tra i genitori per l’affidamento esclusivo vengono omologati in assenza di giusta causa: dimenticando che la bigenitorialità è un diritto soggettivo, indisponibile, del minore. E voler dare al genitore assegnatario della casa il diritto di introdurci chi vuole, modificando profondamente l’assetto familiare senza guardare se al figlio sta bene, a quale preoccupazione corrisponde? L’interesse del minore, dunque, usato in sede legislativa per ampliare il potere discrezionale del giudice e seminare incertezze, è oggi strumentalizzato in sede giudiziaria, e usato solo per coprire il tornaconto degli adulti.
Certamente è auspicabile che questo desolante quadro induca il potere politico ad un intervento di ripristino, di rispetto della normativa in vigore e di rilancio di quegli aspetti – come un passaggio preliminare obbligatorio informativo presso un centro di mediazione familiare accreditato per le coppie in disaccordo – estromessi dal progetto originario. Ciò tenendo anche conto della direzione in cui evolve il quadro dell’Europa, dove in Belgio, con recentissima legge, si è stabilito di privilegiare l’affidamento paritetico. E in effetti è in questa direzione che si muove la proposta di legge 2231, depositata significativamente l’8 febbraio 2007, a un anno esatto dalla promulgazione dell’affidamento condiviso, intorno alla quale si stanno favorevolmente orientando in modo trasversale numerosi esponenti politici. Anche se l’approvazione di un nuovo provvedimento in questa delicata materia appare non semplice, è augurabile che l’iniziativa contribuisca a rendere più stretta l’osservanza della 54 nei tribunali italiani


Prof. Marino Maglietta, Presidente del’associazione nazionale “Crescere Insieme”


Fonte: Guida al Diritto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *