Il 10 novembre 1993 si è aperta la successione di Tizio, vedovo e avente quale unica figlia Tizia, il quale, con testamento olografo pubblicato solo il 9 gennaio 1995, ha disposto dell’intero suo patrimonio, senza mai aver fatto altri testamenti o donazioni in passato, in favore dell’estranea Caia, da sempre e tuttora residente a Napoli. Caia ha poi accettato espressamente l’eredità solo il 20 marzo del 2001 data in cui è venuta a conoscenza dell’esistenza del testamento in suo favore. Il patrimonio di Tizio è costituito esclusivamente da 10 appartamenti tutti siti in Milano. Inizialmente disinteressata a far valere le proprie ragioni perché in forte contrasto con il proprio genitore, Tizia, versando ora in stato di difficoltà economiche, si reca, in data 20 ottobre 2006, dall’avvocato per veder tutelati e difesi i propri diritti successori. Il candidato, assunte le vesti dell’avvocato di Tizia, rediga parere motivato soffermandosi sugli istituti e le problematiche inerenti la fattispecie in esame anche alla luce delle recenti modifiche normative.
Giurisprudenza
– Cass. civ., S.U., 25 ottobre 2004, n. 20644: sulla decorrenza del termine (inizio) di prescrizione dell’azione di riduzione
– Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1999, n. 5920 afferma la natura decennale della prescrizione dell’azione di riduzione decorrente dalla data di pubblicazione del testamento e non da quella di apertura della successione
– Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1997, n. 11809: il termine di prescrizione dell’azione di riduzione del legittimario decorre dalla data di apertura della successione
– Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1987, n. 4230: sui rapporti tra l’azione de qua e l’usucapione
Svolgimento
Nel nostro ordinamento è espressamente disciplinato il fenomeno successorio al fine di regolare le sorti dei rapporti giuridici patrimoniali facenti capo al de cuius dopo la di lui morte. E’ evidente come ciò risponda, in primis, ad un’esigenza di certezza dei traffici giuridici, invece inevitabilmente compromessa se, con la morte, venissero annullate le rispettive posizioni giuridiche attive e passive. Il legislatore, tuttavia, interviene solo in via residuale; infatti, all’art. 457 cc, dopo aver tassativamente limitato le ipotesi di delazione a quelle legittima e testamentaria, ha poi sancito, al secondo comma, che alla successione legittima non si faccia luogo se non quando manchi in tutto o in parte la successione testamentaria.
Ferma restando, cioè, la necessità insopprimibile che venga sempre individuato un erede, inteso quale continuatore, sul piano attivo e passivo, della persona del de cuius, il legislatore garantisce all’autonomia privata la possibilità di individuare tale continuatore mediante il negozio unilaterale testamentario (l’unico negozio patrimoniale mortis causa ammesso dal nostro ordinamento).
L’autonomia privata in ambito testamentario, in applicazione del generico principio del c.d. favor testamenti, incontra, peraltro, un’ampiezza anche maggiore di quella pure ampiamente riconosciuta in ambito inter vivos.
Basti pensare al particolare istituto della conferma (art. 590 c.c.) che consente eccezionalmente di sanare vizi di nullità della disposizione testamentaria oppure opinione di una certa parte della dottrina per cui per i testamenti non opererebbe il limite della frode alla legge (art. 1344 cc) posto che tale norma fa esplicito riferimento ai soli contratti e che l’art. 1324 cc limita l’estensione delle norme stabilite per i contratti ai soli negozi unilaterali tra vivi; allo stesso modo, le norme ermeneutiche sancite dal legislatore agli artt. 1362 e segg. c.c. subiscono in ambito testamentario un necessario adattamento caratterizzato dalla valorizzazione dell’aspetto soggettivo della reale intenzione del testatore mancando qualunque esigenza di tutela della buona di terzi.
Uno dei limiti inderogabilmente imposti dal legislatore alla libertà di testare è, tuttavia, rappresentato da un complesso di norme (artt. 536 e segg., cc) volto a disciplinare la cd successione necessaria.
Con la successione necessaria il legislatore assicura ai parenti più stretti del de cuius, i legittimari (coniuge e figli e, in assenza dei figli, gli ascendenti), una quota minima del patrimonio ereditario (cd. quota di legittima all’uopo tenendosi conto anche delle donazioni effettuate in vita dal de cuius) incomprimibile da parte di una diversa volontà del de cuius.
Sulla natura giuridica della successione necessaria la dottrina ha espresso una pluralità di tesi che vanno dal riconoscimento di una sua autonomia, quale tertium genus, rispetto alla successione legittima e a quella testamentaria, fino a considerare la stessa una sottospecie della successione legittima (cd. successione legittima potenziata) in grado di imporsi e prevalere sulla diversa e contrastante volontà del de cuius.
In ogni caso deve evidenziarsi che anche laddove il testatore disponesse in senso difforme o contrastante con quanto inderogabilmente previsto dalle norme sulla successione necessaria, così ledendo i diritti dei legittimari, la conseguenza non sarebbe comunque la nullità delle disposizioni lesive, posto che detta nullità (più propriamente inefficacia) conseguirà solo a seguito dell’esperimento e accoglimento, ex artt. 553 e segg. cc, di una specifica azione giudiziale (cd. azione di riduzione) da parte del legittimario leso.
Deve considerarsi, inoltre, che detta lesione potrebbe discendere non già da una disposizione testamentaria ma da una donazione effettuata in vita dal de cuius la quale riceve un trattamento analogo, da questo punto di vista, alle disposizioni testamentarie in considerazione della gratuità che contraddistingue sia la prima che le seconde (si consideri l’ipotesi in cui il de cuius, invece di fare testamento, doni tutti i suoi beni ad estranei; anche le donazioni, come le disposizioni testamentarie, sono quindi idonee a ledere i diritti dei legittimari e, pertanto, suscettibili di essere ridotte nell’ordine di cui agli artt. 555, 558, 559 cc).
Ne discende che il legittimario che assuma una lesione dei propri diritti successori come riconosciutigli dalle norme sulla successione necessaria, dovrà necessariamente attivarsi giudizialmente per vedere accolte le proprie doglianze.
Secondo la dottrina prevalente l’azione di riduzione si compone in realtà di tre azioni l’una collegata all’altra. La prima, azione di riduzione in senso stretto, mira esclusivamente ad accertare l’esistenza e l’inefficacia delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive; la seconda, azione di restituzione contro il beneficiario della disposizione lesiva, mira ad ottenere dal beneficiario la restituzione della quota di patrimonio a questi indebitamente devoluta; la terza, azione di restituzione contro terzi aventi causa dal beneficiario della disposizione lesiva, mira a recuperare, verso i terzi, i beni ereditari o quelli donati di cui il beneficiario della disposizione lesiva abbia nel frattempo disposto (artt. 561, 562, 563 cc). Secondo la dottrina prevalente, inoltre, le prime due sarebbero azioni di natura personale essendo rivolte contro lo specifico beneficiario della disposizione lesiva mentre la terza, essendo focalizzata sui beni ereditari (o donati) e non sulle persone attualmente di essi titolari, avrebbe natura reale.
Una delle principali lacune nella disciplina dell’azione di riduzione è, in proposito, rappresentata dall’assenza di un espresso termine di prescrizione per l’esercizio della stessa. In realtà, salvo una minoritaria dottrina che ne sostiene l’imprescrittibilità, la dottrina assolutamente prevalente e la stessa giurisprudenza sono sostanzialmente concordi nell’applicazione dell’art. 2946 c.c. con conseguente operatività dell’ordinario termine di prescrizione decennale.
Fortemente discussa è invece l’individuazione del momento da cui tale termine di prescrizione deve decorrere. La questione appare tanto più rilevante se si consideri che, fino ad una recente pronuncia dalle Sezioni Unite ( 20644/2004), la stessa giurisprudenza di legittimità oscillava tra soluzioni tra loro del tutto discordanti generando non poche incertezze nei traffici giuridici.
Un primo orientamento sostiene che il termine di prescrizione per la riduzione delle disposizioni testamentarie decorra dalla data di pubblicazione del testamento in base al combinato disposto di cui agli artt. 620, quinto comma, 623 e 2935 cc. In base a tale orientamento, essendo eseguite le disposizioni testamentarie (anche quelle lesive) solo dopo la pubblicazione del testamento ed essendo questo il momento in cui il legittimario leso ha consapevolezza della lesione subita, non sarebbe ipotizzabile altro momento da cui far decorrere il termine di prescrizione.
Tale orientamento è stato tuttavia fortemente criticato. In particolare la dottrina e la giurisprudenza sono orientate a ridimensionare la portata letterale di cui al citato art. 620, quinto comma, cc evidenziando che la pubblicazione del testamento non è condizione di eseguibilità in senso tecnico dello stesso ma serve esclusivamente quale presupposto per ottenere la trascrizione di cespiti immobiliari (o mobili registrati) in favore di colui al quale siano stati devoluti o quale presupposto per far valere giudizialmente diritti attribuiti per testamento; prova ne sia che si ritiene generalmente derogabile, col consenso di tutti gli eredi, l’adempimento della pubblicazione del testamento olografo che, non per questo, è inefficace assolvendo comunque pienamente alla propria funzione attributiva-distributiva.
Con riferimento al caso di specie, Tizio ha disposto dell’intero suo patrimonio in favore di un estraneo così ledendo i diritti di legittima di Tizia che, quale figlia legittima ed unica legittimaria, avrebbe invece diritto ex art. 537, primo comma, cc a metà del patrimonio del proprio genitore.
Aderendosi al segnalato orientamento giurisprudenziale dovrebbe concludersi che Tizia non possa più agire in riduzione essendosi ormai prescritta la relativa azione a decorrere dalla data del 9 gennaio 1995 (data di pubblicazione del testamento).
Altro orientamento, pure seguito da alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità, ritiene, invece, che debba aversi quale termine di riferimento iniziale per il decorso della prescrizione il giorno di apertura della successione (coincidente con la morte del testatore ex art. 456 cc). In tal senso, la mancata conoscenza del testamento (che potrebbe essere rinvenuto anche dopo molti anni dalla data di apertura della successione) sarebbe un impedimento di mero fatto e pertanto inidoneo ad ostacolare il decorso del termine di prescrizione giusto il disposto di cui all’art. 2935 cc.
Anche aderendosi a tale ultimo orientamento giurisprudenziale dovrebbe, peraltro, ugualmente concludersi che Tizia non possa più agire in riduzione essendosi ormai prescritta la relativa azione a decorrere dalla data del 10 novembre 1993 (data del decesso di Tizio).
L’ulteriore orientamento espresso dalle citate Ss. Uu., invece, introduce un elemento di distinzione a seconda che l’atto dispositivo lesivo dei diritti dei legittimari consista in una donazione o in una istituzione di erede. Nel caso in cui la lesione dei diritti del legittimario sia frutto di una donazione effettuata in vita dal de cuius, il termine di prescrizione decorrerà dal giorno di apertura della successione (la donazione è, infatti, già perfetta e, quindi, “lesiva” fin dal momento di apertura della successione); nel caso, invece, in cui detta lesione sia frutto di una istituzione di erede, occorrendo, affinchè la lesione si concretizzi, l’accettazione da parte dell’istituito (art. 459, primo comma, cc), il termine di prescrizione decorrerà solo dal momento di detta accettazione. In tale ultimo caso, osserva la Cass., laddove il terzo beneficiario della disposizione lesiva anziché accettare ad essa rinunci, non potrebbe dirsi realizzata alcuna lesione a danno dei legittimari poiché, per effetto della rinuncia, si produrrebbe l’apertura della successione legittima (art. 457, secondo comma, cc) alla quale partecipano, in veste di eredi legittimi, quegli stessi legittimari ipoteticamente lesi (art. 565 cc). Prima di tale accettazione, essendo incerta la sussistenza della lesione, il legittimario non potrà, pertanto, agire in riduzione per carenza di interesse (art. 100 cpc).
Aderendosi a tale ultimo orientamento giurisprudenziale dovrebbe concludersi che Tizia possa ancora legittimamente agire in riduzione essendo intervenuta l’accettazione della disposizione lesiva, consistente nella istituzione di erede in favore di Caia, solo in data 20 marzo del 2001 ed essendosi pertanto concretizzata la lesione dei diritti successori ad essa spettanti solo in tale data.
Per comprendere meglio la posizione da ultimo segnalata si consideri che laddove Caia, invece di accettare l’istituzione di erede, avesse rinunciato, non potendo più operare la successione testamentaria (in quanto rinunciata) ed aprendosi la successione legittima (art. 457, secondo comma, cc) Tizia, unica figlia, non avrebbe subito alcuna lesione poiché addirittura l’intero patrimonio (e non la sola metà a lei riconosciuta ex art. 537, primo comma, cc) sarebbe stato a lei devoluto per legge ex art. 566 cc.
Non può, infine, sottacersi che le incertezze segnalate a cui pareva aver posto fine la Cass. Sez.Un. hanno ripreso recente vigore per effetto della introduzione della nuova disciplina in materia di opposizione alla donazione. Infatti, l’ art. 561, primo comma, cc, per gli effetti ivi indicati, impone la proposizione della domanda dell’azione di riduzione “entro dieci anni dall’ apertura della successione” con ciò apparentemente riconoscendo, in via implicita, in capo al legittimario, un interesse immediato all’azione fin dal momento di apertura della successione e così ribaltando, nuovamente, la posizione da ultimo espressa dalla Cass. Sez. Un.
(di Michele di Bari)
tratto da www.percorsi.giuffre.it