Tolleranza zero nei confronti delle madri separate che, nonostante la “ritrosia” del figlio ad incontrare il padre non affidatario, non si prodigano per “favorire” gli incontri con il genitore.


Lo sottolinea la Cassazione che, nel convalidare una condanna a sei mesi di reclusione per mancata esecuzione dei provvedimenti del giudice nei confronti di una mamma della Liguria, ha evidenziato come un atteggiamento del genere, lungi dal “tutelare l’effettivo interesse” del minore, denoti “il proposito di vulnerare l’interesse del marito a frequentare il figlio in costanza di separazione coniugale”.
In questo modo la sezione Feriale di piazza Cavour (sentenza 34838) ha reso definitiva la condanna a sei mesi di reclusione nei confronti di una mamma con tanto di risarcimento danni in favore del padre non affidatario della bambina che si è costituto parte civile. La madre della bambina era già stata condannata dal Tribunale di Massa e dalla Corte d’appello di Genova (febbraio 2009) per avere impedito all’ex R.P. di “svolgere i previsti incontri giornalieri con la bambina affidata a lei e di tenerla con se due fine settimana al mese”. Inutilmente la moglie si è difesa in Cassazione, sostenendo che “non si era adoperata per favorire gli incontri con il marito separato, ma non aveva mai inteso ostacolarli”. Del resto la bambina, e “la conferma era arrivata anche dai carabinieri, in occasione di alcune consegne al padre piangeva e mostrava ritrosia” nell’andare con lui.
Tutte queste circostanze, secondo gli “ermellini”, non alleggeriscono la posizione della madre nei confronti della quale sono stati ravvisati “profili di responsabilità'” visto che “sono stati adeguatamente e con corretta motivazione illustrati dalle due conformi decisioni di merito, che hanno rimarcato l’assenza di qualsivoglia situazione suscettibile di ricondurre la condotta antigiuridica attuata dalla madre nell’area di un presunto stato di necessità in rapporto all’asserita esigenza di tutelare l’effettivo interesse della bambina, piuttosto che coltivare il proposito di vulnerare l’interesse del marito a frequentarla”. Da qui l’inammissibilità del ricorso della madre che, oltre a dover sborsare le spese processuali e mille euro per avere fatto perdere tempo alla giustizia, pagherà anche le spese sostenute dall’ex marito per il processo (duemila euro).


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