Servono a misurare il livello di integrazione di una società. Sono diventati invece il sintomo di un grave malessere.


I matrimoni misti si sono triplicati nell’arco di un decennio in Italia (sono arrivati a quota 300mila, 590mila se si considerano anche le convivenze) eppure la vita coniugale di tre coppie miste su quattro si chiude con un fallimento. Nel 75 per cento dei casi l’amore sboccia in fretta ma l’epilogo è una separazione. La speranza di riuscire a conciliare le diversità si scontra con i più banali ostacoli quotidiani ma anche con le più profonde differenze negli stili di vita e nella visione della famiglia.
L’allarme e i numeri di questo fallimento sono stati diffusi dall’Ami, l’Associazione matrimonialisti italiani. E raccontano di un modello in piena crisi. Si chiamano «matrimoni misti». Lui italiano, lei straniera. O viceversa. Si amano e decidono di passare la vita insieme. La loro unione dovrebbe essere lo specchio del multiculturalismo, dell’immigrazione che si trasforma in scambio di vite, storie, tradizioni. È diventata invece il simbolo di una profonda incomunicabilità. Le abitudini sono diverse, la religione una scelta intima che in alcune culture condiziona profondamente lo stile di vita, la lingua un piccolo-grande ostacolo alla comprensione, e quel «sì» pronunciato davanti alla legge invece che far crollare le barriere diventa un muro di incomprensioni, disagi, nei casi limite anche di violenza.
La faccia più problematica del problema? L’unione tra una donna italiane e uno straniero. È in quel 22 per cento di matrimoni misti (il restante 78% riguarda maschi italiani che sposano una straniera) che si annidano le storie più difficili. «Le donne italiane, che sempre più frequentemente scelgono africani – nel 24% dei casi marocchini, nel 15% tunisini – spesso trovano dall’altra parte uomini gelosi, abitudini religiose che il compagno vuole condividere, a volte imporre, o semplicemente si trovano di fronte alla richiesta di adottare costumi e regole troppo restrittivi», spiega l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente di Ami. Così le liti esplodono anche per un nonnulla. «Abbiamo avuto molti casi di mariti che non riuscivano a comprendere le minime abitudini di una convivenza civile, che pretendevano di imporre alle mogli anche gli alimenti della loro tradizione, la carne macellata alla islamica, per esempio. E se lei si rifiutava, scattava la segregazione in casa e botte da orbi». Un fenomeno che si complica quando di mezzo ci sono i figli. «In Nord Africa sono potestà esclusiva del padre e le madri non hanno alcun potere sulla prole in caso di separazione o divorzio. Se il marito porta via il figlio, restituirlo alla madre e riportarlo in Italia diventa un’impresa difficilissima». Anche per questo l’associazione forense Ami ha proposto ai servizi sociali l’introduzione di corsi prematrimoniali gratuiti per le coppie miste.
Il gap culturale, insomma, spesso diventa un ostacolo insuperabile. Anche nel caso in cui lo straniero non arriva da troppo lontano. Come succede quando il matrimonio misto avviene fra un maschio italiano e una straniera, prevalentemente una cittadina dell’Est europeo: romene (25%), ucraine (17%), polacche (8%). «Sono matrimoni che in molti casi arrivano dopo tre o sei mesi dal fidanzamento. E vanno alla deriva con la stessa velocità», spiega Gassani. «Non ci si conosce a sufficienza, non c’è stata una convivenza alle spalle. Spesso succede che la conoscenza avvenga via chat. Così le differenze vengono subito al pettine – aggiunge Gassani -. E le donne dell’Est, per esempio, non hanno difficoltà a chiudere un rapporto in crisi. Proprio per un fatto culturale, perché nei loro Paesi un matrimonio si può sciogliere in pochi giorni e questo non è considerato un dramma».
Ma il fallimento delle unioni miste ha aspetti persino più preoccupanti. Dietro ai quali c’è spesso un obiettivo: l’interesse, da parte dello straniero, a ottenere la cittadinanza. «Ci siamo trovati di fronte a casi di uomini stranieri che sposano un’italiana, ottengono la cittadinanza e poi chiedono il ricongiungimento familiare con l’altra moglie che si trova in Egitto, il riconoscimento di fatto della propria poligamia», spiega Souad Sbai, presidente di Acmid (Associazione donne marocchine) e deputata del Pdl. D’altra parte – confermano i numeri Istat – nel 45% dei casi le acquisizioni di cittadinanza concesse fra il 1996 e il 2004 sono arrivate per motivi matrimoniali.


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