Nell’interesse del minore si può provvedere un ambiente familiare protetto (Cassazione 6200/2009)


Una patologia invalidante come l’anoressia non è motivo sufficiente per revocare il diritto di visita di una madre separata al proprio figlio minorenne, anche se questi rifiuta di vederla. Lo ha stabilito la prima sezione civile della Corte di Cassazione, affermando che in sede di esame di legittimità non è sindacabile l’utilità già riconosciuta per il figlio di mantenere vivo il tenue legame affettivo che può essere ancora coltivato. La sentenza rigetta due motivi di ricorso presentati dal genitore affidatario del bambino contro un pronunciamento del 2005 della Corte d’Appello di Bologna. L’appellante ha quindi nuovamente contestato non solo il regime di visita concesso alla madre, ma anche l’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore della moglie, stabiliti lo stesso anno dal Tribunale di Forlì a seguito della separazione dei due coniugi. Con il primo motivo di ricorso, il padre ha lamentato il fatto che in sede di Corte d’Appello non fosse stata ammessa una consulenza tecnica psicologica e che non si fosse tenuto conto della consulenza tecnica d’Ufficio svolta su sua moglie nel procedimento di nullità del matrimonio.
In quella sede – afferma il padre – era stata evidenziata, oltre ad un ripiegamento della donna in se stessa con rifiuto alla vita sociale, anche una personalità psicotica, certamente negativa per la prole. Il Tribunale aveva tuttavia ritenuto adeguato alla situazione modulare il diritto di visita della madre riducendolo ad un incontro settimanale per un intero pomeriggio presso l’abitazione dei nonni materni, con la sorveglianza degli operatori sociali del settore.
La Corte d’Appello ha poi confermato l’adeguatezza di un tale contesto familiare protetto. Quanto all’asserito rifiuto del minore di avere rapporti con la madre, il giudizio di Cassazione stabilisce non solo l’insindacabilità del giudizio espresso dalla Corte d’Appello, ma rileva anche il fatto che tale circostanza le è stata prospettata senza che sia stato precisato, in mancanza di riferimenti nella sentenza impugnata, se fosse stata dedotta nei giudizi di merito. Il genitore affidatario ha inoltre fatto ricorso contro l’assegnazione a suo carico di un assegno di mantenimento di modesta entità. Ha lamentato, in particolare, il fatto che la situazione patrimoniale della moglie – pressoché indigente a causa del proprio stato di salute – dovesse essere considerata in via peritale, anche alla luce di un’abitazione acquistata e datale in uso dalla famiglia d’origine. La Corte di Cassazione ha rigettato anche questo motivo di ricorso. Per giurisprudenza costante, il soggetto interessato non può ritenersi esonerato nei confronti dell’altro coniuge qualora questi riceva delle forme di aiuto dalla famiglia di origine, specie allorché tale aiuto si sia reso necessario proprio in considerazione della modesta entità del contributo al mantenimento. La Corte d’Appello aveva già effettuato una comparazione fra i redditi dei due coniugi, accertando che il ricorrente gode di un reddito assai più elevato della moglie ed usufruisce dell’abitazione familiare di comune proprietà assegnatagli a seguito dell’affidamento del figlio.


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