Una nostra “lettrice” ci ha inviato una lettera che ha ricevuto da un suo amico. Parla della morte dell’anziano papà con parole commoventi. E’ un inno all’amore filiale. Un omaggio ad una figura mitica come quella di un papà, un vero papà.
“Il 20 novembre di due anni fa è morto mio padre, di cui è
necessario che ti parli perché nessuno può presumere di
conoscermi senza sapere qualcosa di lui e del magnifico
rapporto che ci univa.
La sua morte è per me un trauma enorme, ed è come se fosse
iniziato ieri, tanto è pungente questo dolore. Tra noi
c’era un’armonia perfetta, una simbiosi totale, e benché me
lo sia goduto tanto e a lungo, ( aveva 89 anni ma con la
lucidità e la memoria di un giovane ), non era ancora
abbastanza, ero ancora avido della sua presenza, della sua
voce, della sua risata, di tutti quei momenti in cui la
vecchia quercia non si era ancora piegata e mi donava ancora
la sua pace.
Era un uomo eccezionale, con il dono di farsi voler bene da
tutti. Così brillante e generoso di sé che chiunque, uomo
o donna, gli donava subito la propria amicizia, e gli apriva
immediatamente il proprio cuore.
Ora sto bene quando parlo di lui con qualcuno, e perciò
scusami se lo faccio anche con te che non lo conoscevi, ma
devo appunto farlo affinché tu possa entrare meglio nel mio
animo, e parlarne è anche un modo per attenuare un po’ il
mio dolore.
Forse ha ragione Orson Welles, quando nell’ultima battuta de
“L’infernale Quinlan” ( un film bellissimo! ) fa dire a
Marlene Dietrich: “ma che importa quello che si dice di un
morto?” E’ vero, malinconicamente vero, eppure i morti
non chiedono nulla e non hanno che noi per continuare a
vivere, e le nostre parole sono le tracce più tangibili
rimaste delle loro vite, poiché sono tracce vive, animate
dal nostro affetto e dal nostro rimpianto, e ogni nostra
frase diventa una stanza, affollata di suoni, di echi, di
presenze.
Spesso mi addormento sperando di sognare mio padre, ma è
successo solo poche volte. Che peccato non poter produrre
i sogni a proprio piacimento! Allora sì che la notte
sarebbe una festa, un risarcimento del giorno, ma a quel
punto forse nessuno vorrebbe più vivere di giorno, la terra
sarebbe immersa in una totale, felice letargia, e ovunque si
stenderebbe un silenzio gravido di pace e di armonia.
Con la morte di mio padre il mio tempo si è spezzato.
Quell’ultimo giorno, dopo pranzo mi sono messo al computer,
e pensavo che nel frattempo lui fosse sceso giù da mia
madre, e solo dopo oltre mezz’ora mi sono insospettito di
non vederlo tornare e l’ho trovato di sopra, morto.
I medici pensano che sia morto per un arresto cardiaco
dovuto a una fibrillazione ventricolare, e siccome conosco
un uomo che ebbe lo stesso attacco ma si salvò perché era in
compagnia di un medico che gli fece un massaggio cardiaco e
chiamò l’ambulanza, sono andato a parlargli per sapere quali
furono le sue sensazioni in quel momento. Mi ha detto che
avvertì una grande rilassatezza e il buio che scendeva in
lui, il tutto, egli ritiene, nell’arco di pochi secondi.
E’ un sollievo sapere che mio padre non abbia sofferto nel
trapasso, e che sia scivolato nella morte lievemente, ma non
riesco ancora ad accettare che mentre lui moriva io ero
ignaro al computer, e temo che non ci riuscirò mai.
Ma il nulla della morte ora mi spaventa di meno, perché lui
vi è dissolto e me lo rende meno angoscioso. Le persone
amate aiutano anche in questo: quando ci precedono
nell’intollerabile morte la rendono più abitabile. A tal
punto arriva la potenza dell’amore, capace persino di
trasfigurare il vuoto!
Al funerale in chiesa ho tenuto io il discorso funebre, sia
perché, essendo io ateo, non volevo sentire le solite frasi
da un prete che nemmeno lo conosceva, sia, soprattutto,
perché volevo tributare pubblicamente a mio padre il mio
amore e il mio rimpianto.
Mi piacerebbe farti leggere quel discorso, perchè sarebbe
consolante che una donna intelligente e bella come te
potesse leggere di lui. Sarebbe un modo per unire mio
padre a una donna per la quale sento un’inclinazione
dell’animo, e anche un modo per fargli valicare idealmente i
confini, per immaginarlo sempre più cittadino dell’universo,
dissolto ormai nello spazio ma presente in me e attorno a
me, nell’aria che respiro, nel mio respiro nostalgico. Ma forse,
questa mia lettera è già sufficiente a darti una vaga idea di chi ho
perduto.
Come tutti i giorni, anche oggi mio babbo sarebbe andato un
po’ fuori a spasso, avrebbe incontrato i pochi amici
sopravvissuti, e sarebbe tornato a casa con qualche notizia,
o soltanto col suo buonumore, a me così indispensabile.
Ora che è morto sto male quando in città noto qualche
cambiamento, che lui non potrà più vedere, e vorrei che i nostri luoghi,
rimanessero bloccati per sempre, congelati nella forma in cui
i suoi occhi li hanno fissati per l’ultima volta.
Nell’esistenza nulla va perduto, ogni esperienza vissuta
rimane dentro di noi, magari nascosta per tanto tempo, e poi
d’improvviso riappare, senza chiederci permesso e seguendo
strade sorprendenti, lineari o labirintiche, ed è subito
lieta o dolorosa come la prima volta. Il passato è un
fiume carsico, che scorre sotto terra e ogni tanto affiora
alla superficie per poi tornare in profondità. Non
possiamo prevedere quando e dove riemergerà, e neppure
quanto a lungo durerà il suo ritorno. Possiamo solo
osservare il suo percorso, e cercare di assecondarlo o di
contrastarlo. Ma nel caso di mio padre, so che il fiume
del suo ricordo resterà sempre in superficie.
Era un uomo così simpatico, allegro, esuberante, che vivere
con lui è sempre stato un piacere, e mi rammarico che tu non
l’abbia conosciuto. Ti sarebbe piaciuto, perché nessuno
sapeva resistergli. Verso la vita aveva un atteggiamento
così bello e positivo che fino all’ultimo ha conservato la
gioia di vivere di un ragazzo, e in casa la sua presenza era
una fonte continua di buonumore.
Le donne gli piacevano molto, e prima di sposarsi ne ha
avute un’infinità ( e nessuna dopo ), tanto che a quasi 40
anni passava ancora da una donna all’altra. Una sera, a
una festa in un circolo, vide una donna sconosciuta
e bellissima. Appena la vide la indicò ai propri amici e
disse: “se quella donna mi dice di sì la sposo.”
Conoscendolo, i suoi amici lo derisero amabilmente, convinti
che un tipo come lui non si sarebbe mai sposato, ma
dimenticavano una delle sue qualità: la determinazione.
Quella sera, mio padre non potè nemmeno ballare con quella
ragazza, che essendo così bella era già impegnata per
tantissimi balli ( a quell’epoca, le donne segnavano su un
foglietto i balli che gli uomini prenotavano! ). Potè
solo parlarle un attimo, ma quella ragazza, di 11 anni più
giovane di lui, è diventata mia madre.
Io e lui ci capivamo al volo, e quando lo vidi morto pensai
che volevo ancora le sue parole, soprattutto le sue parole,
e che il nostro dialogo non poteva interrompersi così. Mi
aveva stupito anche poche ore prima, perché aveva usato
alcune espressioni che non gli avevo mai sentito, a
dimostrazione che nonostante l’età sapeva ancora rinnovarsi,
e l’ultima persona di cui mi parlò fu suo padre, che tornava
spesso nei suoi discorsi come lui nei miei, mi disse una
cosa che mi legava a mio nonno in un paragone, ed è bello
che le sue ultime parole abbiano chiuso in un cerchio tre
generazioni.
Come sai ora vivo da solo perché mia madre, che è gravemente malata,
poco dopo la morte di mio padre è
andata a vivere in una casa di riposo. Malgrado fosse più
giovane di 11 anni, è invecchiata peggio di mio padre, che
osservandone avvilito il declino talvolta mi diceva, tra il
serio e il faceto: “vedi? io credevo di aver sposato una
donna giovane, e invece 11 anni non sono bastati. La
prossima volta voglio che mia moglie abbia 20 anni in meno!”
Ora sai chi ho perso, e quanto lui mi manchi.”
Andrea
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