La legge 8 febbraio 2006 n.54, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, ha riorganizzato complessivamente la materia riguardante i figli nella crisi familiare, tanto dal punto di vista sostanziale, quanto da quello processuale. Tra le novellazioni settoriali, l’introduzione dell’art. 155 sexies del codice civile che, tra l’altro, così stabilisce: “ il giudice, qualora ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.In due parole, “mediazione familiare”. Il mediatore, la cui figura deve ancora essere compiutamente disciplinata in Italia, svolge un ruolo di supporto alla comunicazione tra i genitori in conflitto, aiutandoli a negoziare sulle questioni riguardanti la vita quotidiana dei figli, le spese per il loro mantenimento, le scelte scolastiche ecc. Si tratta di una “figura terza” priva di potere istituzionale, in quanto scelta volontariamente dalle parti in qualunque fase del processo di separazione o alla fine dell’iter legale, non essendo i due itinerari incompatibili. Si può accedere alla mediazione nella fase pre-legale, dopo la firma della separazione consensuale o dopo l’udienza presidenziale, o ancora nel corso di una giudiziale. Il mediatore opera dietro le quinte del processo, con l’intento di accompagnare le famiglie nel passaggio drammatico della separazione, ma non solo. Con l’ordinanza 28 novembre 2007, il tribunale civile di Lamezia Terme ha invitato le parti a rivolgersi a un mediatore in fase di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, vale a dire nel corso di un divorzio. La “stella polare” che in tale occasione ha orientato il giudice verso questa scelta, è stato l’interesse morale e materiale della prole, in cui è incluso il diritto a conservare la “bigenitorialità”. Come dire che tale diritto deve essere rimarcato e tutelato anche durante il divorzio, tanto più che in questa fase gli impeti e i rancori della separazione sono lontani e gli animi dovrebbero essere più sereni. La decisione calabrese è destinata a diventare un punto di riferimento per i nuovi professionisti della famiglia ma certo non tratteggia in maniera definitiva i contorni del “mediatore familiare”, rispetto al quale le posizioni sono talvolta contrastanti. Ci si chiede, infatti, se l’avvocato non sia già di per sé un mediatore, dovendo destreggiarsi in un ambito, quale quello familiare, in cui la logica legale si intreccia necessariamente con la dimensione psicologica, affettiva, relazionale e sociale dei suoi assistiti. La risposta la si attende da una regolamentazione della materia, che vada finalmente a fare chiarezza su questa delicata funzione professionale e sulla sua necessità e pertinenza nei contenziosi familiari.
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