di Vincenzo d’Amelj Melodia
“Nella vita si dovrebbe essere sempre innamorati, ecco perché non bisognerebbe sposarsi mai”.
Vogliamo parlare di matrimonio? E allora partiamo citando un famoso aforisma di Oscar Wilde, in cui l’eccentrico intellettuale irlandese esprime tutta la sua dedizione per la passione amorosa quanto la sua sfiducia nei confronti del matrimonio. Wilde, come tutti sappiamo, era sposato ed aveva anche due figlie, ma non credeva nel matrimonio, come dimostrano molte sue commedie e moltissime sue massime letterarie. Una contraddizione allora questa sua frase, un segno della sua instabilità o una sua ennesima provocazione? Forse niente di tutto questo.
Penso, invece, che intendesse dire una cosa assai scontata e che forse trova perfettamente d’accordo parte della società occidentale e cioè che se “l’amore passionale” non dura mai tutta una vita, come invece dovrebbe essere un matrimonio, specie per i credenti che lo intendono come un sacramento e quindi inviolabile, perché la passione è sempre figlia del desiderio inappagato, della paura di perdere l’oggetto del proprio amore, con il matrimonio si va necessariamente incontro ad una caduta di questa passione.
Nella nostra epoca, poi, questa massima mi sembra, forse, ancora più attuale di quando Wilde la pensò. La sotto cultura dell’usa e getta e del consumismo ha invaso inevitabilmente anche la sfera affettiva. Niente dura per più di tre o quattro anni, da un modello di scarpe ad una star televisiva, passando per una filosofia orientale e arrivando sin nel cuore di quella che per secoli si è considerata l’unica forma di coronamento di un amore, cioè il matrimonio.
Il matrimomio è, allora, un punto d’arrivo o un punto di partenza per un rapporto amoroso? Dovrebbe essere tutte e due le cose. L’approdo dopo il fidanzamento e l’inizio di una vita insieme, ma è veramente così? Cosa vuol dire amarsi, cos’è l’amore?
Dovrebbe essere una domanda talmente ingenua da risultare abissale. E’ una domanda, una di quelle domande che forse, dico forse, almeno una volta nella vita ognuno di noi si è ritrovato a fare accostandosi ad un qualsiasi testo poetico o musicale.
“Io credo che la poesia, per sua naturale vocazione, sia l’anarchia della coscienza allo stato puro, ciò che prova a conciliare lo stato d’ordine della ragione con il caos della passione, l’immagine del reale con l’inimmaginabile dell’emozione”, questo diceva Machado, forse il più grande poeta spagnolo del secolo scorso.
Ecco, tutta colpa dell’emozione! I matrimoni entrano in crisi per colpa di una emozione, ma quale? Un recente studio inglese ha messo in luce come in ognuno di noi, nel nostro cervello, ci sia una specie di spia pronta ad accendersi ogni volta che scopriamo qualcosa di nuovo, ogni volta che qualcosa di sconosciuto entra in contatto con noi e con la nostra mente. Una specie di “morbo di Ulisse”, una curiosità talmente forte da mettere da parte tutto ciò che fino a quel momento aveva monopolizzato la nostra attenzione. Ovviamente questa spinta varia in ognuno di noi, ma in ognuno di noi, in misura differente, è comunque presente.
Certo poi i continui stimoli che la società, qualunque essa sia, ci manda continuamente non ci hanno certo aiutato a farci segliere la norma anziché la rottura dell’ordine, la presunta solidità anziché l’infinitudine della sperimentazione affettiva e passionale. Il problema, allora, non è quello di vivere o no la passione, a quello di saperla gestire nel tempo, quello di saper trovare la costanza in quello che si prova.
La canzone di Carmen Consoli Fiori d’arancio è uno po’ lo specchio di questo discorso. E’ un affresco veloce e realistico di una mattina da matrimonio, di un matrimonio non celebrato, di un matrimonio frenato sul nascere.
E’ una canzone dura, cinica, che però mette in evidenza come l’amore, anche quello matrimoniale, subisca l’asfissia della “normalità”, vista come assenza di passione dettata dall’abitudine.
I matrimoni finiscono, negli ultimi decenni sono aumentati divorzi e separazioni, nonché gli annullamenti, proprio perché non sappiamo vivere la costanza.
E’ una immagine grigia? Forse sì, o forse è comunque qualcosa che rispecchia questi anni.
Tutto questo non vuole essere un giudizio anche perché anche io, come molti miei coetanei, come lo stesso Wilde, finirò spero presto per sposarmi e quel giorno, felice, aspetterò la mia fidanzata davanti all’altare. Felice sì, ma con la malinconica consapevolezza che il matrimonio è un po’ come un bel sonetto petrarchesco, splendido quando lo si scopre d’un fiato, duro ed ostico quando lo si deve rileggere per la seconda o terza volta o tutti i giorni.
BARI SERA
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