Bacchettate sulle mani e ginocchia sui ceci erano le vecchie punizioni di una volta. E sembravano un lontano e non rimpianto ricordo. Se non che oggi si ricorre ad appellativi offensivi e scotch sulla bocca per riportare all’ordine studenti indisciplinati. L’articolo 571 del codice penale, che punisce il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, ormai è sempre più in vista sulle pagine dei quotidiani, a causa di episodi che con i metodi educativi hanno ben poco a che fare. L’ultimo, in ordine di tempo, riguarda una 35enne insegnante milanese che ha tappato per qualche secondo la bocca di un suo alunno con un nastro adesivo, perché il bambino chiacchierava troppo durante la lezione. Il fatto è venuto fuori in maniera casuale e la preside dell’Istituto ha ritenuto di informarne la Procura. Ad oggi, la maestra è stata perdonata dai suoi alunni, disciplinarmente assolta dalla sua scuola e scagionata dall’indagine dei carabinieri ma, nonostante anche il pm avesse chiesto l’archiviazione per abuso dei mezzi di correzione, si trova accusata di violenza privata aggravata. Articolo 610 del codice penale e non articolo 571 stavolta. Questo perché l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina comporta, come elemento materiale, l’eccesso nell’uso di mezzi giuridicamente leciti e certo non può definirsi lo scotch un mezzo consentito a fine correttivo. Così pende sulla giovane insegnante l’accusa di violenza privata aggravata, identificandosi la violenza in qualsiasi mezzo adoperato che sia idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. Le aggravanti, nel caso di specie, sarebbero date dai futili motivi e dall’abuso di autorità, visto il ruolo di educatrice svolto dalla donna. A decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, il giudice per le indagini preliminari di Milano, Mario Pellegrino, richiesta che ora dovrà chiaramente essere vagliata dal giudice dell’udienza preliminare. Lontano da giudizi categorici e da opinioni circa la gravità o meno del fatto riportato, ciò che bisogna ricordare è che mai va lesa la dignità del minore. Come si legge in una sentenza della Suprema Corte (39927/05), “il minore è ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione da parte degli adulti. Non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, tolleranza e convivenza, utilizzando mezzi violenti e costrittivi che tali fini apertamente contraddicono”.